Bruno Kessler nasce il 17 febbraio 1924 a Cogolo, un paesino della Val di Sole orfano di padre a 4 anni, la madre lavora i campi, e lui studia in convento per necessità e si laurea in giurisprudenza a Padova.

Bruno Kessler, personaggio di primissimo piano della storia politica del Trentino, è uno di quegli uomini di potere che per capacità progettuale, leadership politica e dinamismo, ha ancora qualcosa da suggerirci a 100 anni dalla nascita.

Bruno Kessler è stato un «uomo di visione» – come sottolineò il suo grande amico Beniamino Andreatta durante le esequie nel 1991 – ma anche un uomo di granitica convinzione. Una doppia attitudine che ben emerge in queste sue parole:

«Oggi dobbiamo avere il coraggio di inventare, anche sbagliando. Dobbiamo avere fierezza e fantasia: fierezza, cioè crederci capaci di influire sulle cose, nonostante che ogni giorno sperimentiamo tutti i limiti dello sforzo compiuto sia a livello locale, sia a livello mondiale. Fantasia: come capacità di anticipare il futuro, con coraggio e lungimiranza. I modelli vecchi, collaudati e sicuri non bastano più: dobbiamo volere e vedere qualche cosa di nuovo, di duttile, di empirico oltre le leggi, sopra le leggi, forzando per averne di nuove, che magari lascino ampi spazi a iniziative locali» (così scrive in un appunto dei primi anni ‘70 conservato nel suo archivio privato, donato alla Provincia e attualmente oggetto di un importante progetto di ricerca.

Uomo spigoloso, solitario, politico accentratore, grande cacciatore e amante del gioco della morra, Kessler si iscrive alla Dc nel 1945, diventa segretario di una piccola sezione a ventun anni.

Il Trentino dei primi anni sessanta ha molti problemi e limitate competenze per risolverli da sé: l’aspettativa di vita alla nascita è di 62 anni, la più bassa d’Italia, il reddito è al di sotto della media nazionale, si registrano forti tassi di emigrazione e alte punte di disoccupazione stagionale, l’occupazione femminile extradomestica è scarsa, mancano servizi e infrastrutture soprattutto nelle valli.

La parola d’ordine in quegli anni di riformismo politico è ovunque programmazione. Kessler la fa propria ed elabora un progetto organico per la modernizzazione della sua terra anche attraverso l’investimento in cultura e ricerca. Kessler aveva capito che il riscatto di una terra marginale e povera non passava solo dal miglioramento delle condizioni materiali di vita della popolazione, ma da un più ampio processo di crescita culturale. Assegnava in particolare all’università (ovvero a una «infrastruttura cultural-scientifica elevata») un ruolo strategico per lo sviluppo del territorio. Così prende forma l’idea – che poi diventa disegno politico e quasi missione personale – della prima facoltà di sociologia in Italia.

Kessler tocca con mano una scienza nuova, almeno in Italia la sociologia.

In questa disciplina, dotata di strumenti empirici duttili per leggere quel presente complesso, Kessler vede un futuro: ovvero la possibilità di formare una classe dirigente all’altezza dei tempi nuovi, di favorire la sprovincializzazione del Trentino.

Così nel 1962, per ovviare all’impossibilità giuridica della Provincia di fondare direttamente un istituto universitario, nasce l’Istituto trentino di cultura che, come suo primo atto, diventerà l’incubatore del libero Istituto superiore di scienze sociali.

Kessler dovrà affrontare diversi ostacoli per veder compiutamente realizzato il suo progetto. Sociologia sarà la prima università di massa, nel senso che è la prima ad aprire le porte anche ai diplomati degli istituti tecnici.

Kessler non è solo: lo aiutano nel suo ambizioso progetto innanzitutto padre Luigi Rosa (dei gesuiti di San Fedele a Milano) e gli studiosi del comitato ordinatore, Marcello Boldrini, il sociologo Giorgio Braga, il matematico Mario Volpato, l’amico Beniamino Andreatta e poi Norberto Bobbio, Paolo Sylos Labini, Alessandro Pizzorno, fino a Francesco Alberoni e alla nuova scuola di sociologi e sociologhe che passeranno da Trento. Senza dimenticare Flaminio Piccoli che, pur fiero oppositore di Kessler nella gestione locale della politica e del partito, garantirà il suo pieno e fondamentale appoggio per il riconoscimento della nascente facoltà nelle sedi della politica nazionale.

Trento “capitale” della sociologia è però solo il primo frutto del modello autonomistico kessleriano a vocazione culturale.

La nascita di nuove facoltà (dopo Sociologia, Economia politica, Scienze, Ingegneria e Lettere) e la creazione di istituti di ricerca di alto profilo scientifico e internazionale.

Dentro l’Istituto trentino di Cultura (che non a caso oggi si chiama Fondazione Bruno Kessler) vengono fondati: nel 1973 l’Istituto storico Italo-Germanico, nel 1975 l’Istituto di Scienze Religiose; nel 1976 il Centro per la Ricerca Scientifica e Tecnologica, nato come centro di sviluppo e ricerca in fisica che sarà uno dei primi centri in Italia a occuparsi di intelligenza artificiale con il prof. Luigi Stringa.

Il Trentino doveva appropriarsi in modo più convinto della propria autonomia, ancorandosi alla solidità delle proprie tradizioni non come a una zavorra ma come a una spinta verso l’apertura e l’innovazione. Questa è l’idea che sta alla base dell’originale progetto di Bruno Kessler. Una comunità che trova riscatto nella conoscenza e cresce nel sapere dovrebbe essere ancora il punto da cui partire per innovare il tessuto economico, sociale e culturale di un territorio.

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